Approfondimenti

LA RACCOLTA FONDI

Tra le ulteriori previsioni innovative del Codice del Terzo settore (D.lgs. 117 del 2017) spicca la definizione della raccolta fondi, prevista all’art. 7. Nel corso di questo approfondimento verrà dunque effettuato un raffronto fra la normativa generale previgente e quella attualmente valevole per tutti gli ETS.

 

 

 

  1. Premessa.

Fra le più importanti novità introdotte dalla riforma c’è anche la formulazione di un’apposita disciplina della raccolta fondi riservata esclusivamente agli ETS.

Il riferimento normativo, che potremmo definire “speciale”, si trova per la precisione all’art. 7 del Codice del Terzo Settore (CTS).

Viceversa, prima dell’entrata in vigore del CTS la normativa sulla raccolta fondi veniva ricavata da una serie di norme eterogenee ed era considerata applicabile nei confronti di tutti gli Enti senza scopo di lucro.

Questa normativa, che oggi potremmo chiamare “generale”, continua a restare in vigore per tutte le associazioni non profit che non diverranno ETS.

Per tali ragioni, è assai opportuno effettuare un confronto fra le due tipologie di normativa in materia di raccolta fondi, al fine di verificare l’effettiva portata innovativa delle disposizioni del CTS rispetto al passato.

Inizieremo a riepilogare sinteticamente la normativa “generale”, per poi passare ad analizzare quella “speciale” dettata oggi dal CTS.

 

  1. La normativa “generale” in tema di raccolta fondi.

Stando alle disposizioni contenute nell’art. 143, comma 3, lett. a, D.P.R. n. 917/1986 (c.d. TUIR), come modificato dall’art. 2, comma 2 D. Lgs. n. 460/1997, il ricavato ottenuto dall’associazione non profit a fronte dell’effettuazione di una raccolta fondi non concorre alla formazione del reddito imponibile. Cioè, in pratica, il ricavato non viene conteggiato ai fini del calcolo dell’IRES e non è soggetto ad IVA.

Ad ogni modo, affinché il ricavato della raccolta fondi possa essere esente dal pagamento dei tributi, la legge stabilisce il rispetto di talune caratteristiche. Nello specifico, viene stabilito quanto segue: non costituiscono reddito tassabile “i fondi pervenuti ai predetti enti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione”.

Anzitutto, dunque, l’attività di raccolta fondi deve essere occasionale. In altre parole, le raccolte fondi non devono costituire l’attività esclusiva o principale dell’Ente non profit, ma devono svolgersi in modo del tutto sporadico e non organizzato.

Peraltro, nelle norme sopra citate non è specificato il preciso limite del numero di raccolte fondi annuali che ogni Ente deve rispettare per rimanere entro il parametro dell’occasionalità.

Per tali ragioni, nel tempo gli interpreti hanno preso a modello una norma dettata per le Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD), per poi estendere l’efficacia della previsione in via generale.

Si considerano dunque occasionali le raccolte fondi che si svolgono al massimo per due volte l’anno, e purché la somma complessivamente ricavata sia inferiore o pari a 51.645,69 € (art. 37, comma 2, l. 342/2000, che ha modificato l’art. 25, della Legge n. 133 del 1999).

L’altro requisito richiesto è quello della concomitanza con celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione. Ciò può essere realizzato in occasione ad esempio di festività religiose, eventi legati alla vita dell’associazione, oppure in caso di nuovi progetti da finanziare.

Da ultimo, viene richiesto il parametro della pubblicità. Ciò comporta che la raccolta fondi deve essere rivolta a favore di chiunque sia in grado di venirne a conoscenza grazie ad un idoneo sistema informativo.

I fondi raccolti, inoltre, possono provenire anche dall’offerta di servizi o di beni di modico valore. Si pensi al caso della raccolta fondi tramite l’esposizione in vendita di prodotti botanici o articoli di uso quotidiano.

Il denaro ricavato è così utilizzabile per i propri scopi istituzionali, senza alcuna tassazione.

Da ultimo, va precisato che, indipendentemente dalla redazione del bilancio annuale, gli Enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi devono redigere un apposito e separato rendiconto entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio. Tale rendiconto deve poi essere debitamente conservato, ai fini fiscali, per almeno dieci anni (v. artt. 20, comma 2, e 22, D.P.R.  600/1973). In caso contrario, l’associazione si espone al rischio di sanzioni amministrative, nonché alla possibile tassazione dei proventi ottenuti.

 

  1. La raccolta fondi secondo il CTS.

Come abbiamo visto, la disciplina generale della raccolta fondi risulta essere composta da un insieme di norme eterogenee che vengono applicate in via analogica ad ogni tipo di associazione non profit.

Mediante il CTS, viceversa, si tenta di fornire per la prima volta una definizione organica dell’istituto, con contestuale previsione di un’apposita disciplina applicabile nei confronti di ogni tipologia di ETS.

In particolare, secondo il legislatore, per raccolta fondi “si intende il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un Ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva”. Viene poi ulteriormente specificato al secondo comma dell’art. 7 che “gli enti del Terzo settore possono realizzare attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa, anche mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, impiegando risorse proprie e di terzi, inclusi volontari e dipendenti, nel rispetto dei principi di verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico”.

Va a tal proposito apprezzato il tentativo di disciplinare in via legislativa un’attività svolta già da molti anni dalle varie associazioni non profit.

Ad ogni modo, numerosi sono gli interrogativi che l’art. 7 CTS pone all’interprete, in quanto la disposizione è assai vaga in merito al tipo di attività che ogni ETS può concretamente svolgere, nonché avuto riguardo delle concrete modalità operative con cui si può dar corso ad una raccolta fondi.

La soluzione di tali interrogativi potrà auspicabilmente essere fornita mediante l’emanazione di apposite linee guida per la disciplina della raccolta fondi, che stando alle prescrizioni del CTS dovranno essere adottate con “decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentiti la Cabina di regia di cui all’art. 97 e il Consiglio nazionale del Terzo settore”.

Ad ogni modo, tali linee guida non sono state ancora adottate, in quanto risulta che esse sono ancora in attesa del parere obbligatorio della Cabina di regia.

Peraltro, l’innovazione più dirompente, qualora interpretata in senso estensivo, potrebbe essere quella relativa alla possibilità di realizzare attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa. Difatti, tale disposizione si potrebbe porre in aperto contrasto con il precedente requisito della “occasionalità” richiesto dalla normativa generale.

Eppure, nell’ambito dello stesso CTS, è presente un’altra disposizione che si pone in apparente contrasto con la definizione di raccolta fondi fornita all’art. 7.

Il riferimento è all’art. 79, comma 4, lett. a, CTS, che viceversa si limita a riproporre il testo dell’art. 143, comma 3, lett. a, D.P.R. n. 917/1986 (c.d. TUIR). In pratica, viene disposto che il ricavato delle raccolte fondi non concorre, in ogni caso, alla formazione del reddito degli ETS, purché i fondi siano pervenuti a seguito di “raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione” (art. 79, comma 4, lett. a, CTS).

Dalla lettura congiunta delle due disposizioni, dunque, emerge un interrogativo fondamentale: gli introiti ricavati dagli ETS a fronte dello svolgimento di attività di raccolta fondi svolte in forma organizzata e continuativa concorrono alla formazione del reddito?

Sebbene ai sensi dell’art. 79, comma 4, lett. a, CTS, la risposta sembrerebbe positiva, ciò si porrebbe in palese contraddizione con la volontà del medesimo legislatore di ampliare la definizione di raccolta fondi anche a favore di quelle attività svolte in modo non occasionale.

Passando all’analisi degli ulteriori aspetti della raccolta fondi secondo la normativa dettata dal CTS, può essere osservato quanto segue.

Tutti gli ETS che effettueranno raccolte pubbliche di fondi devono inserire all’interno del bilancio un rendiconto specifico, che dovrà essere redatto entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio e che sarà soggetto all’obbligo di conservazione, ai fini fiscali, per almeno dieci anni (art. 79, comma 5, CTS, il quale rimanda all’art. 22 D.P.R. 600/1973).

In questo rendiconto specifico devono risultare in modo chiaro e trasparente, eventualmente anche a mezzo di una relazione illustrativa, le entrate e le spese relative a ciascuna iniziativa di raccolta fondi effettuata (così dispone l’art. 87, comma 6, CTS).

Stando infine all’art. 48, comma 3, CTS, i rendiconti specifici relativi alle raccolte fondi svolte nell’esercizio precedente devono essere depositati presso il Registro Unico entro il 30 giugno di ogni anno.