Approfondimenti

IL CTS E GLI ENTI RELIGIOSI CIVILMENTE RICONOSCIUTI

Nel corso del presente approfondimento si affronterà il tema del rapporto fra le numerose novità introdotte dal CTS e le possibilità di sviluppo riconosciute agli Enti Religiosi civilmente riconosciuti.

 

  1. Premessa

La riforma del Terzo Settore presta molta attenzione agli Enti Religiosi civilmente riconosciuti.

Difatti, si stima che in Italia una buona parte delle attività di interesse generale siano proprio svolte da soggetti appartenenti a confessioni religiose.

Con specifico riferimento agli Enti appartenenti alla Chiesa cattolica, gli ultimi dati messi a disposizione dal Ministero dell’Interno certificano l’esistenza di oltre 25.000 Parrocchie che operano nel sociale, per un totale complessivo di oltre 35.000 Enti Ecclesiastici dediti ad effettuare attività a rilevanza sociale.

Nel previgente sistema normativo (D.Lgs. n. 460 del 1997), ed alla luce degli opportuni chiarimenti del Ministero delle Finanze, per operare nel sociale l’Ente Ecclesiastico doveva istituire e regolamentare un apposito Ramo ONLUS.

Ma con quali modalità, ed in presenza di quali presupposti, tali Enti possono divenire oggi protagonisti della riforma? Ed in questi casi, quali norme contenute nel Codice del Terzo Settore (CTS) potranno essere concretamente applicate agli stessi?

Cercheremo qui di seguito di fornire un quadro essenziale delle novità introdotte e della complessiva disciplina applicabile.

  1. Il Ramo “di interesse generale” dell’Ente Ecclesiastico civilmente riconosciuto

Per rispondere all’interrogativo appena posto, occorre analizzare l’Art. 4, comma 3, CTS.

Anzitutto, in base a tale disposizione, gli Enti Ecclesiastici potranno divenire destinatari delle norme del CTS soltanto qualora siano stati civilmente riconosciuti secondo le leggi dell’ordinamento italiano.

Questa locuzione rappresenta una novità rispetto al previgente sistema improntato sulla normativa ONLUS; difatti, l’art. 10, comma 9, del D.Lgs. n. 460 del 1997 estendeva tale possibilità a tutti “gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese”.

Viceversa, il nuovo requisito sembra essere più stringente.

Ne deriva, secondo la lettura che sembra essere maggiormente conforme al dato letterale, che gli Enti Ecclesiastici possono divenire destinatari delle norme contenute nel CTS purché abbiano previamente conseguito l’attribuzione della personalità giuridica ai sensi dell’art. 1, Legge n. 222 del 1985, attuativa del nuovo concordato del 18 febbraio 1984 stipulato fra Stato e Chiesa, e delle ulteriori modalità concrete previste dal Regolamento 33/1987.

In particolare, stando alle ulteriori evoluzioni previste nel D.P.R. 361/2000, recepito per via diplomatica fra Stato e Santa Sede, il riconoscimento civile implica il successivo obbligo di iscrizione dell’Ente Ecclesiastico nel registro delle persone giuridiche, istituito e tenuto presso le prefetture, da individuarsi in base alle rispettive competenze su base territoriale.

Assolte tali condizioni preliminari, per poter svolgere le attività di interesse generale di cui all’articolo 5 CTS e divenire dunque destinatario della normativa individuata nella riforma, l’Ente Ecclesiastico civilmente riconosciuto dovrà adottare un apposito regolamento istitutivo del Ramo c.d. “di interesse generale”.

Questo regolamento potrà avere la forma dell’atto pubblico, oppure quella della scrittura privata autenticata.

La differenza è che nel primo caso il regolamento verrà direttamente curato e redatto dal notaio, mentre nell’ipotesi della scrittura privata autenticata il notaio si limiterà ad identificare il soggetto che andrà a sottoscrivere il regolamento già predisposto dall’Ente Ecclesiastico.

È importante rilevare, in ogni caso, che lo strumento del regolamento è stato previsto affinché gli Enti Ecclesiastici possano essere soggetti alle regole del CTS soltanto limitatamente al loro “ramo di interesse generale”; viceversa, siffatte norme non verranno indiscriminatamente applicate al soggetto giuridico in quanto tale e, dunque, in relazione all’attività istituzionale di religione e di culto perseguita.

  1. Il regolamento di cui all’art. 4, comma 3, CTS

Ma quali regole dovranno essere seguite per la redazione del regolamento?

A questa domanda, in prima battuta, può essere fornita risposta attraverso l’art. 4, comma 3, CTS, il quale prescrive che il regolamento deve recepire le norme del codice del Terzo Settore “ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti”.

Anzitutto, l’oggetto del regolamento dovrà necessariamente concernere una o più attività di interesse generale elencate dall’art. 5 CTS (si rimanda sul punto ai precedenti contributi relativi agli specifici campi di attività perseguibili).

In secondo luogo, occorre specificare che le attività di interesse generale saranno perseguite per il raggiungimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, in totale assenza dello scopo di lucro.

Dovrà poi essere oggetto di meditati approfondimenti ermeneutici la possibilità, lasciata in capo agli Enti Ecclesiastici civilmente riconosciuti, di evitare l’applicazione di quelle norme del CTS che siano incompatibili con la loro struttura e finalità.

A questo proposito, il legislatore ha infatti deciso di individuare espressamente talune norme che non debbono essere applicate al Ramo di interesse generale dell’Ente Ecclesiastico. Le regole che sono state espressamente escluse dal CTS sono le seguenti:

– Art. 12 (Denominazione sociale). Ciò comporta che l’Ente Ecclesiastico non dovrà in nessun caso apporre l’acronimo “ETS” accanto alla propria denominazione.

– Art. 15, comma 3 (Libri sociali obbligatori). Questa esclusione consentirà all’Ente Ecclesiastico di vietare l’esame dei propri libri sociali ai propri soci o aderenti.

– Art29 (Denunzia al tribunale e ai componenti dell’organo di controllo). Stando alla disposizione in commento, l’Ente Ecclesiastico può impedire nel regolamento la possibilità che taluni soggetti (associati, revisori dei conti, organi di controllo, ovvero il pubblico ministero) possano agire ai sensi dell’art. 2409 c.c. per denunciare eventuali gravi irregolarità di gestione.

Ma ciò non toglie che possano essere escluse, in via interpretativa, applicazioni di ulteriori norme ritenute incompatibili con l’assetto strutturale e le finalità perseguite dagli Enti Ecclesiastici.

Venendo ora agli aspetti contabili, nel regolamento dovrà essere individuato un patrimonio destinato.

Il concetto di patrimonio destinato utilizzato dall’art. 4, comma 3, CTS, è assai sfumato, in quanto stando all’impostazione ritenuta maggiormente condivisibile, si tratterebbe in realtà di indicare una lista di beni mobili e/o immobili che saranno impiegati nella gestione di una o più attività di interesse generale.

Dunque, non si creerebbe una separazione patrimoniale perfetta fra i beni dell’Ente Ecclesiastico e quelli attribuiti al Ramo. Questo significa che in caso di debiti contratti dal ramo di interesse generale dovrà rispondere l’intero Ente Ecclesiastico con tutto il suo patrimonio.

Qualora, invece, volesse essere creata una separazione patrimoniale perfetta dei beni attribuiti al ramo di interesse generale, si potrà ad esempio procedere alla creazione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare ai sensi dell’art. 2447 bis c.c.

Infine, prescrive il CTS che l’Ente Ecclesiastico, in relazione all’attività svolta attraverso il Ramo, dovrà tenere separate scritture contabili (contemplate all’art. 13 CTS).

Va infine precisato che tale regolamento, fino a quando non entrerà in vigore il nuovo registro unico del terzo settore, potrà essere depositato presso l’attuale registro ONLUS tenuto dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate.