Approfondimenti

GLI ADEGUAMENTI STATUTARI (terza parte)

La circolare ministeriale n. 20 del 27 dicembre 2018, recante oggetto “Codice del terzo settore. Adeguamenti statutari“, fornisce chiarimenti utili per ODV, APS ed ONLUS che vogliano divenire ETS, in quanto contiene importanti precisazioni per un corretto esercizio del potere di adeguamento statutario, al fine di armonizzare le regole della vita associativa con le nuove prescrizioni del CTS. Nella prima parte dell’approfondimento sono stati analizzati l’oggetto ed i destinatari della circolare, il termine al momento previsto per l’adeguamento statutario, nonché le diverse maggioranze richieste per suddette modifiche. Nella seconda parte dell’approfondimento l’attenzione è stata concentrata sulle varie tipologie di adeguamento richieste dalla normativa, analizzando in particolare i principali adempimenti obbligatori ed inderogabili che gli Enti dovranno effettuare per restare all’interno del mondo del Terzo Settore.  Attraverso il presente approfondimento saranno invece portate all’attenzione le modifiche che il CTS considera di tipo derogabile.

 

  1. Premessa.

Con la circolare ministeriale n. 20 del 27 dicembre 2018, recante oggetto “Codice del terzo settore. Adeguamenti statutari”, a firma del Direttore Generale del Terzo Settore e della responsabilità sociale delle imprese, vengono forniti chiarimenti utili per un corretto adeguamento statutario entro il termine del 3 agosto, necessario affinché gli attuali Enti non profit possano divenire, in base al nuovo Codice del Terzo Settore (CTS), veri e propri Enti del Terzo Settore (ETS).

Nella circolare si fa esplicito riferimento alle Organizzazioni di Volontariato (ODV), alle Associazioni di Promozione Sociale (APS) ed agli altri Enti ONLUS, già iscritti nei relativi registri.

Come chiarito nei precedenti approfondimenti, l’adeguamento statutario riguarda esclusivamente gli Enti costituiti prima del 3 agosto 2017 (data di entrata in vigore del CTS). Viceversa, tutti gli enti costituiti a partire dal 3 agosto 2017 sono tenuti a conformarsi fin dall’inizio alle regole del CTS, purché applicabili in via diretta ed immediata.

Si ricorda anche che, per una corretta modifica degli statuti, gli Enti dovranno prestare molta attenzione al tipo di adeguamento richiesto, in base alla seguente suddivisione:

a) adeguamenti inderogabili

b) adeguamenti derogabili

c) adeguamenti facoltativi

Attraverso il presente contributo verrà analizzata la categoria degli adeguamenti derogabili, ovverosia tutte quelle modifiche che l’Ente può varare per evitare l’applicazione delle disposizioni contenute nel CTS, le quali hanno l’effetto di etero-integrare gli statuti soltanto ove non diversamente previsto.

Si ribadisce inoltre che, con riferimento a questa categoria, l’esercizio del potere di adeguamento statutario entro il termine del 3 agosto 2019 comporterà grandi benefici dal punto di vista delle maggioranze richieste.

Difatti, l’art. 101, comma 2, CTS, prevede che gli Enti coinvolti possano beneficiare per gli adeguamenti di tipo derogabile delle maggioranze semplificate previste per le delibere ordinarie dell’assemblea (ove ovviamente l’Ente preveda al suo interno l’organo assembleare).

 

  1. Le modifiche statutarie derogabili.

Vediamo a questo punto l’elenco delle regole che il CTS ritiene derogabili dagli Enti in sede di modifica statutaria, ovverosia quelle disposizioni che si applicano direttamente a tutti gli ETS, se non è disposto diversamente nell’atto costitutivo o nello statuto (si ricorda che in caso di contrasto, fra i due prevale quanto disposto nel secondo).

 

La prima categoria di modifiche derogatorie rispetto alle previsioni del CTS riguarda l’ammissione dei soci.

Anzitutto, la legge stabilisce che l’ammissione del socio debba avvenire con delibera dell’organo di amministrazione, ma chiarisce la Circolare come lo statuto possa prevedere l’ammissione a cura di un diverso organo, in base all’art. 23, comma 1, CTS.

Si pensi, ad esempio, all’organo assembleare.

Inoltre, l’art. 23, comma 2, CTS, prescrive che la delibera di rigetto della domanda di ammissione a socio deve intervenire per legge entro 60 giorni dalla richiesta. Ebbene, in relazione a questa regola viene fatto salvo il caso in cui l’atto costitutivo o lo statuto dispongano diversamente.

Questa clausola, dunque, consente all’Ente di apportare modifiche alle tempistiche previste per la deliberazione della domanda di rigetto; ad ogni modo, come chiarito nella Circolare, la modifica non può essere tale da collidere con l’impianto sistematico della riforma. Tale sarebbe, ad esempio, la previsione di una tempistica eccessiva ed altamente discriminatoria per i diritti del richiedente.

Altresì, l’art. 23, comma 3, CTS, prevede che l’istanza volta a riesaminare il rifiuto della domanda di ammissione a socio deve essere avanzata dal richiedente entro 60 giorni dalla relativa deliberazione.

Ma anche in questo caso viene previsto che l’atto costitutivo o lo statuto possono determinare diverse tempistiche, pur sempre nel rispetto dei sopra delineati principi generali. Ad esempio, la previsione di un termine di soli due giorni sarebbe altamente discriminatorio per i diritti del richiedente.

Altra possibilità di modifica concerne l’organo al quale deve essere diretta la richiesta di riesamina, che può essere l’assemblea oppure un altro organo da essa eletto.

 

La seconda categoria di modifiche derogatorie rispetto alle previsioni del CTS riguarda il diritto di voto in assemblea (ovviamente per gli Enti che prevedono al loro interno l’organo assembleare).

A tal proposito, va segnalato che in base all’art. 24, comma 1, CTS, hanno diritto di voto tutti coloro che sono iscritti da almeno tre mesi nel libro degli associati, salvo che non sia diversamente disposto.

Ciò significa, dunque, che nello statuto (o nell’atto costitutivo) possono essere previste diverse tempistiche. Ad ogni modo, specifica la Circolare che potranno essere ammesse soltanto deroghe in melius, ovverosia riducendo il termine previsto per legge.

 

La terza categoria di modifiche derogabili concerne l’organo assembleare.

Anzitutto, è possibile derogare alla previsione del CTS in base alla quale ciascun associato può farsi rappresentare nell’assemblea da un altro associato mediante delega scritta, che per legge è limitato ad un massimo di 3 soggetti per associazioni fino a 499 soci, e ad un massimo di 5 soggetti per associazioni a partire da 500 soci.

Inoltre, con particolare riferimento alle competenze dell’assemblea per le associazioni (riconosciute o non riconosciute) che abbiano un numero di soci pari o superiore a 500, è possibile prevedere nello statuto deroghe rispetto a quanto stabilito all’art. 25, comma 1 CTS, purché ciò avvenga nel rispetto dei principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati, nonché di elettività delle cariche sociali.

 

La quarta categoria di modifiche derogabili riguarda invece l’organo amministrativo.

Difatti, solo per le associazioni (riconosciute o non riconosciute) che abbiano un numero di soci pari o superiore a 500, è possibile derogare alle regole in tema di competenza a nominare l‘organo di amministrazione, purché ciò avvenga nel rispetto dei principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati, nonché di elettività delle cariche sociali.

Altro fondamentale aspetto riguarda la possibilità di incidere sul potere di rappresentanza attribuito agli amministratori, che in base all’art. 26, comma 7, CTS, è generale. Difatti, viene prevista la possibilità per gli Enti di prevedere limitazioni, nel proprio statuto (o atto costitutivo) al potere di rappresentanza generale degli amministratori.

 

La quinta categoria di modifiche derogabili è in tema di c.d. operazioni straordinarie.

In base alla disciplina dettata dal codice civile (nuovo art. 42 bis introdotto dalla Riforma), le associazioni, siano esse riconosciute oppure non riconosciute, nonché le fondazioni, possono operare reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni.

Ebbene, questa possibilità può essere espressamente esclusa mediante divieto introdotto per mezzo di un’apposita modifica statutaria.

 

La sesta categoria di modifiche derogabili riguarda la devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento dell’Ente.

Va segnalato, a tal proposito, che la Circolare inserisce detta tipologia di modifiche fra quelle da considerarsi come inderogabili. Ma, a ben vedere, anche in questo caso, in assenza di diverse disposizioni presenti nello statuto, si applicano direttamente le conseguenze previste per legge, ovverosia la devoluzione integrale del patrimonio residuo alla Fondazione Italia Sociale.

Dunque, sembrerebbe più corretto inserire questa categoria fra le modifiche derogabili.

Fatto sta che, come appena anticipato, nel caso in cui l’atto costitutivo o lo statuto non dispongano diversamente, qualora l’Ente per qualsiasi motivo venga sciolto, il patrimonio residuo sarà destinato alla Fondazione Italia Sociale.

Si ricorda, in particolare, che detta Fondazione costituisce una persona giuridica di diritto privato, prevista all’art. 10 della Legge Delega n. 106 del 2016 per la Riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e del servizio civile universale.

La legge delega stabiliva che lo statuto della Fondazione avrebbe dovuto essere approvato mediante apposito Decreto del Presidente della Repubblica: ciò è avvenuto mediante D.P.R. del 28 luglio 2017, pubblicato nella G.U. n. 211 del 9 settembre 2017.

Dopodiché, con Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, emanato il 21 dicembre 2017, è stato istituito anche il primo Comitato di Gestione.

La Fondazione ha come compito primario quello di sostenere, mediante l’apporto di risorse finanziarie prevalentemente provenienti da soggetti privati, nonché attraverso la messa a disposizione di competenze gestionali, la realizzazione e lo sviluppo di interventi innovativi da parte di ETS, che siano caratterizzati dalla produzione di beni e servizi con un elevato impatto sociale e occupazionale, favorendo quelli rivolti ai territori ed ai soggetti maggiormente svantaggiati.

Ma la Fondazione non si limiterà soltanto a sostenere gli ETS: essa potrà investire nella finanza sociale, acquistare immobili o gestire quelli pubblici, ed avviare imprese sociali.

Tanto chiarito, va segnalato che tale devoluzione alla Fondazione Italia Sociale può essere evitata laddove l’Ente indichi, nel proprio statuto o atto costitutivo, uno o più ETS ai quali sarà interamente destinato il patrimonio residuo in caso di scioglimento, oppure rimetta espressamene tale decisione agli organi competenti, affinché al momento dovuto specifichino detti ETS.

In ogni caso, sarà necessario il previo parere favorevole dell’Ufficio del RUNTS competente, o comunque, fin quando lo stesso non sarà entrato pienamente in vigore, ciò dovrà avvenire nel rispetto della previgente normativa (ad esempio, per le ONLUS occorre il parere del Ministero del lavoro e delle politiche sociali).

 

Infine, altre norme specifiche, con possibilità di deroga, valgono in particolar modo per le reti associative (art. 41 CTS).